No alla violenza, no ai partiti, l'essere umano al centro e mai più “vivere per lavorare”: queste le parole chiave degli Indignati italiani.
Ma chi sono questi indignati?
Semplici cittadini, dai venti ai cinquant'anni, che si stanno unendo. Gli Indignati ogni dì indicono assemble, qui i ragazzi discutono in un incontro generale i punti all'ordine del giorno; ogni proposta viene prodotta dai singoli all'interno di commissioni tematiche, e viene poi portata all'attenzione dell'assemblea. Diventa fondamentale quindi il consenso della piazza attorno alle mozioni, visto che di leader non ce ne sono (e non ne vogliono) e l'ormai consolidata forma della semplice “maggioranza più uno” non viene più considerata valida. Col passare del tempo si stanno definendo sempre più concretamente le specificità della piazza: lavoro, sanità, casa, istruzione, cultura e futuro. Bersagli dell'indignazione sono invece i banchieri, la dilagante disoccupazione giovanile, l'inefficienza delle forze politiche e di un sistema elettorale che mina alla determinazione della volontà dell'elettore. Apolitici? Assolutamente no, semplicemente non hanno colori, bandiere o simboli di partiti politici. Il fulcro del movimento è la partecipazione: senza di essa, non si possono porre proposte all'attenzione dell'assemblea, non solo per un mero fatto organizzativo, ma proprio per riacquistare la presenza del cittadino negli spazi primordiali della democrazia.
Ora al movimento non rimane che una sfida: coinvolgere il maggior numero di cittadini possibile come succede in tutta Europa. Gli strumenti? La visibilità e la comunicazione nei quartieri, nelle strade e nelle piazze nonché la creazione di nuove forme d'agire democratico, forme che devono rinnovare la “partecipazione dal basso” ed unire un popolo intero. La sfida è stata lanciata, gli italiani la raccoglieranno?