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Come, quanto e chi ci guadagna davvero con l’accoglienza migranti


                                


Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Interno, attualmente ci sono in Italia migliaia di strutture temporanee che ospitano i migranti per la cui gestione sono stati stanziati 1,16 miliardi di euro.
Il Sistema nazionale di accoglienza è articolato in due sotto-insiemi, entrambi coordinati dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, e che, in ragione delle differenti funzioni, hanno modelli organizzativi, voci di costo e tempi di permanenza differenziati.
Esistono i centri governativi, ossia strutture che offrono accoglienza a diverse tipologie di migranti e che sono suddivise in quattro diverse tipologie: CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza); CDA (Centri di accoglienza), CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo); i CIE (Centri di identificazione espulsione) anch’essi proiettati verso una nuova identità (si auspica non soltanto nominativa) e gli hotspot.
Poi c’è il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), gestito attraverso gli enti locali con l’essenziale supporto e ausilio del terzo settore, che offre soprattutto servizi per l’accoglienza e l’integrazione dei soggetti beneficiari, in quanto si tratta di strutture ospitanti un numero di posti limitato. 
La Onlus PIAM di Asti rientra nella tipologia dei CDA ed è stata la prima in Italia a sperimentare l’inserimento dei migranti nelle famiglie, oltre che nei centri di accoglienza.
Alberto Mossino è Presidente Onlus PIAM (del Consorzio COALA di Asti) e spiega a TPI: “Abbiamo implementato il modello dell’accoglienza diffusa ad Aprile 2014. Ossia quando sono cominciati gli sbarchi più ingenti dalla Libia. Abbiamo accolto l’invito diffuso dalla Prefettura che ha chiesto alla Caritas e alle Onlus di accogliere. Abbiamo così contattato le associazioni di migranti, quelli con cui collaboravamo da tempo”. 
Centri Accoglienza e famiglie che ospitano
“Questo tipo di affidamento familiare ha funzionato. Abbiamo selezionato le famiglie ospitanti in base ad un punteggio e a dei i requisiti, cercando di capire quali potessero essere gli immigrati da ospitare grazie ad un equipe di psicologi ed esperti”, racconta Alberto.
Noi gestiamo un centro per 80 persone. Sessanta sono sistemati nelle famiglie, 20 nel centro di accoglienza. Il sistema-famiglia aumenta l’efficacia dell’integrazione. Le famiglie possono essere di italiani che hanno dimostrato la loro disponibilità, o di stranieri.
“L’accoglienza spesso funziona meglio nelle famiglie di immigrati di seconda generazione. Con gli italiani accade più spesso che si tirino indietro, perché le aspettative sono alte e la realtà è più complessa dell’ideale iniziale di accoglienza. Mentre tra connazionali, o originari di paesi vicini, è tutto più immediato. Si hanno le stesse usanze, anche alimentari, e l’integrazione nel tessuto sociale è più rapida”.
La convenzione con le famiglie prevede diritti e doveri: “Noi forniamo 400 euro al mese alle famiglie che in cambio devono fornire vitto, alloggio e igiene personale.” 
La onlus riceve dalla prefettura 35 euro al giorno per i migranti nei quali sono inclusi i pocket money (2,50 euro al giorno) da erogare direttamente al migrante. Al quale si fornisce anche accompagnamento legale e sanitario: “Da questa somma provengono anche i 400 euro che eroghiamo alle famiglie che si offrono di accoglierli”. 
“Durante il giorno facciamo corsi di formazione professionale (per cuoco, barista, pizzaiolo, addetto motosega, procedure base di sicurezza etc.) e corsi per imparare la lingua, il tutto al fine di far integrare quanto più possibile queste persone nella società”.
L’affidamento dura il tempo del riconoscimento definitivo dello status. Per la richiesta di asilo politico trascorrono tra gli 8 e i 9 mesi. Le persone se ne vanno dopo (e se) hanno ottenuto lo status di rifugiato. 
Da quello che racconta Alberto, “I migranti non sono forzati, hanno la libertà di scegliere se vogliono stare in famiglia o nel centro di accoglienza. È anche capitato che alcune collaborazioni non abbiano funzionato e i richiedenti asilo abbiamo scelto di tornare nel centro accoglienza».
In questo momento di emergenza perenne, il rischio è che l’accoglienza non sia fatta più in modo serio: “Le cooperative che lavorano con numeri alti tendono a non avere cura dei migranti”. Spiega Alberto. “Il numero ideale è di circa 25 persone per centro, per un rapporto di 1 a 1. Altrimenti la situazione diviene ingestibile e possono verificarsi azioni di rivolta. Le problematiche sono svariate, dai problemi legati al cibo, alle diverse culture, alla difficoltà nell’erogare i pocket money o proprio al fatto che a volte i pocket money vengano dati sotto forma di buoni per schede telefoniche o buoni spesa per supermercati”. 
I problemi economici e il rischio del lucro
Molte cooperative che non hanno solide basi economiche e non ricevono prontamente i soldi dalla prefettura non rilasciano i pocket money, ed è da lì che cominciano i problemi.
Come continua a raccontare Alberto, “Il problema reale è che le prefetture hanno fretta di collocare queste persone senza curarsi realmente di come poi vadano le cose. Non c’è una graduatoria ed anche i bandi che vengono ufficializzati premiano solo l’aspetto economico: vince l’ente che offre di meno per ospitarli. Una tendenza al ribasso”. 
Un altro grosso problema è che non esistono solo i centri accoglienza, ormai chiunque abbia anche solo una cascina, un albergo, o un’abitazione può ospitare i migranti: “Ma cosa fanno queste persone durante il giorno?” – si domanda il presidente di PIAM – “Chi controlla l’operato degli enti che gestiscono? Non c’è una commissione che si occupa di questo. Tamponare soltanto l’emergenza non porta a nulla. Cosa se ne fa un emigrante del permesso di soggiorno se nel frattempo non ha imparato la lingua o un mestiere da rivendersi per radicarsi sul territorio?”. 
Quanto affermato da Alberto Mossino è confermato anche dall’associazione LasciateCIEntrare che si occupa di aumentare l’informazione sul funzionamento dei centri di accoglienza e sui Centri di identificazione ed espulsione (CIE). 
La deriva ultima del sistema è il subappalto: “Cooperative che vengono remunerate con i 35 euro al giorno per migrante, li trasferiscono a loro volta ad altri centri che li tengono per 20 euro al giorno. Come fossero merce di scambio. Bisogna aumentare i controlli”.
Gli SPRAR
Nel 2001 il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) hanno siglato un protocollo d’intesa per la realizzazione di un “Programma nazionale asilo” .
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo .
A novembre 2016 risultano finanziati 652 progetti (508 ordinari, 99 per minori non accompagnati, 45 per persone con disagio mentale o disabilità) affidati a 555 enti locali titolari di progetto coinvolgendo in totale oltre 1.000 comuni.
Risultano così finanziati 26.012 posti (23.399 ordinari, 2.039 per minori non accompagnati, 574 per persone con disagio mentale o disabilità). 
Michelle Farese è la coordinatrice di alcuni centri SPRAR in Campania che ospitano un numero limitato di migranti, dai 30 a i 50.
“Alla rete dello SPRAR i comuni italiani aderiscono su base volontaria, non possono aderire le associazioni o gli enti privati”, spiega Michelle. 
Lo SPRAR è identificato come un sistema di seconda accoglienza e dovrebbe accogliere i migranti che hanno già definito la loro posizione giuridica, cosa che non avviene quasi mai a causa del sovraffollamento degli hub alle frontiere. 
Il problema, anche in questo caso, è che il sistema SPRAR non si sta ampliando con la stessa velocità con cui si sta ampliando la domanda. Più i centri sono grandi, meno funzionano. 
“Il Comune fa domanda di accesso al fondo e presenta il progetto che, se approvato, viene messo in graduatoria, il ministero trasferisce i soldi al comune il quale indice una gara di appalto per dare in affidamento la gestione del centro”, racconta Michelle.
L’aggiudicatario deve allegare un piano finanziario con delle voci di costo definite anche da Comune. Gli aggiudicatari hanno l’obbligo di tracciare la spesa che esce da ministero dell’interno fino al beneficiario. In base a quanto spiega Michelle “Questo accade per i trasporti, per gli abiti, per tutte le spese dei migranti che devono essere rendicontate ed avere un riscontro cartaceo. Lo stesso vale per i servizi, per le persone che lavorano all’interno dei centri”.
La registrazione dei pocket-money erogati periodicamente va operata con cadenza mensile utilizzando l’apposito registro delle erogazioni con firma di quietanza del beneficiario. I documenti giustificativi delle spese sostenute – si legge nella nota del ministero – devono essere a disposizione per il controllo del Servizio centrale e sono rappresentati in generale da fatture, parcelle, ricevute fiscali, bollettini postali, quietanze bancarie e assicurative, titoli di viaggio, bolli, schede telefoniche prepagate o internazionali, ricevute generiche.
Secondo quanto racconta Michelle, “Il trasferimento dei fondi per le spese può avvenire anche a distanza di mesi”. 
È qui che possono sorgere i problemi: “Per poter pagare i fornitori, gli stipendi e sostenere le spese, in attesa del trasferimento di fondi, l’ente centrale suggerisce alle strutture che hanno necessità, di accedere al prestito delle banche i cui interessi sono molto alti. Ovviamente questi interessi non vengono aggiunti alla somma stanziata con il progetto iniziale, per cui tocca rimodulare i piani finanziari per far quadrare i conti, e questo significa, talvolta, abbassare il livello di qualche servizio offerto”.
In base alle informazioni raccolte, l’emergenza migranti interessa diversi attori:
I Comuni, le associazioni, le onlus e le famiglie che offrono accoglienza. Il rischio è che ad arricchirsi siano i centri accoglienza che subappaltano o che non gestiscono le somme ricevute in modo corretto, i privati gestori di centri improvvisati e le banche che concedono i prestiti agli enti gestori.

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