Un anno prima vinceva le primarie, prologo della sua ascesa a Palazzo Chigi, a suon di “Enrico stai sereno”. Ieri celebrava il compleanno di quella memorabile giornata in cui ha trovato milioni di elettori del Pd pronti a catapultarlo a Palazzo Chigi, senza passare dalle urne, al costo di due euro cadauno. Ma è stato un compleanno triste, al di là del discutibile maglioncino rosso da Veglione in famiglia coi bambini col quale si è recato all’assemblea dei giovani dem. Perché il Babbo Natale nel sacco non aveva doni per i piccoli adepti del partito, ma una caterva di bocciature piovutegli addosso dai padroni dell’Europa. C’è poco da fare, la politica ai tempi dei premier senza elezioni fa strame e polverizza in un lasso di tempo assai breve. Perché la parabola di Renzi ricorda quella di Monti (accolto dai peana degli anti-berluscones e finito nel dimenticatoio dopo un bagno elettorale con pochi precedenti) e quella di Letta (salutato come il salvatore dopo lo stallo in cui Bersani aveva cacciato l’Italia e rottamato dal suo successore senza complimenti, e senza rimpianti degli italiani).
Per carità, Renzi cerca ancora di mostrare un po’ di verve, ma c’è già chi immagina la sua clessidra segnare gli sgoccioli, quanto meno della popolarità. Sicuramente, di corda da Bruxelles e Francoforte gliene arriva assai poca, tant’è che davanti ai suoi accoliti si mostra meno filo-eurocrate del solito: “Voi siete la classe dirigente dell’Italia che va a testa alta e senza chiedere scusa se esisto. Ue non è solo insieme vincoli e spread, un accordo notarile ma prima di tutto una comunità”. E poi lancia il suo slogan dai toni apocalittici: “Vi do una brutta notizia, questo è il primo di quattro anni in cui sono qui da segretario. Lo dico perché la durata della segreteria dura quanto la legislatura e non c’è spazio per invenzioni. Bisogna cambiare l'Italia”.
Il senso di quest’anno, la sua cifra politica, il fatto che Renzi abbia già consumato il bonus di comprensione che gli era stato accreditato, si legge fin troppo chiaro in un altro passaggio del suo discorso. “Abbiamo fatto una cosa che il Pd e la sinistra non facevano spesso, abbiamo vinto. Ora ci manca la cosa più difficile, convincere. Noi per primi. Siamo qui per cambiare il paese che quelli prima di noi non sono riusciti a cambiare. Dobbiamo prendere il paese e restituirlo non solo più bello, ma più semplice e più capace di crederci, più capace di entusiasmarsi”. Da italiani la speranza è che cominci almeno adesso, dopo dodici mesi di annunci e nulla più; ciò che è lecito attendersi, purtroppo, è tutt’altro: e con la parola entusiasmo non ci fa nemmeno rima…