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"Hanno sciolto la mia Reggio e protetto Roma" Scrive l’ex sindaco della città calabrese: «Il Pd ha salvato un Comune amico»

LA LETTERA  A
Iltempo.it

Caro direttore,
La decisione riguardante il Campidoglio è la classica soluzione all'italiana: ipocrita e discriminatoria. Così come anticipato in tempi «sospetti» dal premier Renzi, il Comune di Roma non è stato commissariato per infiltrazioni mafiose, in quanto «la decisione» da prendere era di «carattere politico». La Ragion di Stato ha prevalso sull’applicazione di una legge iniqua e inutile.
Quella stessa Ragion di Stato che però, quando si è trattato di decidere sul Consiglio comunale di Reggio Calabria, ha portato allo scioglimento di un’Amministrazione appena eletta. Scioglimento basato formalmente sull’innovativo quanto suggestivo concetto di «contiguità mafiosa» e su un sommario giudizio politico che poggia sul non aver fatto «abbastanza» per contrastare la ’ndrangheta nei soli sei mesi di attività svolta.
Si volle allora adottare un provvedimento esemplare, da monito a tutti. Il Governo, come dichiarò candidamente l'allora ministro Cancellieri, intese mandare un messaggio chiaro e forte al mondo intero: l'Italia è consapevole di avere un problema che si chiama mafia e intende risolverlo con determinazione. Per quanto riguarda Roma, la procedura, nata da un'indagine della magistratura, è stata «superata» dalla volontà del Governo Renzi di salvare un’Amministrazione «amica», ma evitando, così, un danno insanabile al nostro Paese.
Per Reggio, al contrario, l'input è partito da un ben noto ambito politico, il Pd, che ha trovato sponda nel governo tecnico più inadeguato della storia della Repubblica e si è consumato nelle stanze delle più alte cariche dello Stato. In entrambi i casi, questo è certo, la Ragion di Stato ha visto come esecutori materiali le lobby ministeriali e i cosiddetti «servitori dello Stato», ineffabili e benestanti «mandarini» al servizio del ministro di turno affetti da una malattia incurabile conosciuta col nome di «carrierismo».
Ecco perché il Consiglio comunale di Roma, che ai sensi della vigente legge che disciplina gli scioglimenti avrebbe dovuto essere sciolto senza indugi o alchimie politiche (fa riflettere come sulla vicenda di Mafia Capitale, si sia registrato il silenzio, davvero assordante, dei parlamentari calabresi che rende eloquente la loro dimensione intellettuale e politica), sia stato, al contrario, salvato, ma tenendo in piedi una norma i cui effetti distorsivi sono stati denunciati unanimemente a tutti i livelli, lasciando che una materia così importante come il contrasto alle mafie continui ad essere strumento in mano alla politica. E non solo.
Così facendo si è tenuta in piedi la possibilità che un’antimafia solo di facciata possa essere ancora sfruttata al solo scopo di costruire carriere politiche e mantenere in vita organismi utili solo alla lottizzazione del potere. Di certo c’è che per molto meno un qualunque altro Comune del Meridione sarebbe stato spazzato via… a prescindere.
Se vivessimo in un vero Stato di diritto, si sarebbe sfruttato il «caso Roma» per abrogare quella legge e adottare come regola generale, esattamente come è stato fatto per la Roma Capitale, il sistema dell'affiancamento-tutoraggio, individuato in ambito politico, giudiziario ed istituzionale come il rimedio più efficace, oltre che più equo, ad evitare la mannaia dello scioglimento delle Amministrazioni locali e rispettare la volontà popolare, salvaguardando, così, la democrazia.
Detto ciò, è evidente come, a fronte di atteggiamenti palesemente iniqui, sia inevitabilmente venuta meno la credibilità dello Stato e delle istituzioni, specie in quei territori che per decenni hanno sentito forte il peso dell’abbandono e dell'isolamento. Ed è chiaro che quando le istituzioni si indeboliscono, la mafia si rafforza, soprattutto in termini di consenso e di controllo del territorio. Purtroppo l’Italia ha assunto i connotati di uno Stato autoritario che viola la legge, nega i fondamentali diritti costituzionali dei cittadini, ponendo in essere trattamenti iniqui nei diversi territori del Paese.
Utilizzando due pesi e due misure, sciogliendo Reggio Calabria e «proteggendo» Roma, lo Stato ha criminalizzato intere comunità, privandole di ogni possibilità di sviluppo e di ogni speranza, determinando la desertificazione che affligge il Meridione e che si fonda su quel particolare stato psicologico ben rappresentato dallo scrittore Corrado Alvaro: «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile»

Demetrio Arena, già sindaco di Reggio Calabria

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