Partendo dal fatto di cronaca di Bologna e della sospensione comminata dall’Ordine dei Medici provinciale ad alcuni suoi iscritti, il collega allarga il ragionamento sulla condizione infermieristica in generale, con un focus sul settore specifico dell’emergenza e del 118 di cui si occupa.
Sembra essere evidente, oggi, che l’infermiere ha (o dovrebbe avere) una posizione e un ruolo molto diversi dall’infermiere di un tempo, dalla figura “ausiliaria” a quella del medico. Lo status di “professionista” dovrebbe permettere l’esercizio consapevole, libero, autonomo di competenze molto più complesse dell’asservimento a un semplice mansionario.
Ma i punti deboli della catena teoria-realtà sono diversi, non ultimo l’approccio avuto finora dagli stessi infermieri che, in molti casi, si sono auto-confinati entro recinti protocollari per evitare o circoscrivere le responsabilità, senza rendersi conto del danno che così si stava arrecando alla professione.
E tanti sono gli esempi, nel nostro Paese, in cui la professione è considerata di rango “inferiore” (soprattutto nelle Forze Armate, nella Polizia, ecc. dove agli infermieri è preclusa la carriera con le stellette cui possono accedere invece altre figure).
La Società civile, dal canto suo, anche attraverso la sua espressione comunicativa (mass media, organi di stampa, ecc.) dimostra di non aver assimilato il passaggio dell’infermiere alla professione autonoma.
La risultante di tutte queste divergenze tra norma e prassi (tra quanto dice la legge e quanto accade nella realtà) è il tiranno contro cui la professione deve combattere, certo non favorita da una classe politica in cui la rappresentanza medica (che di suo soffre di un cronico vetero-medicocentrismo sanitario con forti connotazioni corporative) è straordinariamente rappresentata, mentre gli infermieri si devono affidare a un debole Collegio che porta dietro di sé, perfino nel nome, il radicamento a quello stesso passato da cui dovrebbe lavorare per far staccare gli infermieri tutti.
Di Stefano Agostinis
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