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I moti di Reggio Calabria: una città contro lo Stato







REGGIO CALABRIA – Inizia il 14 luglio del 1970 la rivolta urbana più grande – per numeri e durata – d'Italia e d'Europa.

E' stata paragonata a una ''mini-rivoluzione francese'' (per il giorno in cui iniziò) e ad una ribellione senza precedenti e mai più attuata. Un campo di battaglia, dietro il quale non c'era solo il disagio del sud, l'abbandono di una Regione intera e di una popolazione. C'era altro. Giorni di rabbia che sono stati identificati storicamente con il nome di ''moti di Reggio o rivolta di Reggio'', una sommossa popolare che animò Reggio Calabria dal luglio del 1970 al febbraio del 1971 in seguito alla protesta dovuta alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro con l'istituzione degli enti regionali.
L'INIZIO DELLA TENSIONE - In quei giorni di luglio, almeno inizialmente, il malcontento fu politicamente trasversale (ad esclusione del Partito Comunista Italiano), ma in una seconda fase i movimenti di destra, ed in particolare il Movimento SocialeItaliano, ricoprirono un ruolo di primo piano. Il sindacalista della Cisnal, Ciccio Franco, esponente missino, rilanciò il motto ''Boia chi molla'' (usato già ai tempi della prima guerra mondiale dagli Arditi) e ne fece uno slogan per cavalcare la protesta dei reggini, indirizzandola verso una connotazione antisistema e fortemente polemica nei confronti di un governo che non sapeva ascoltare la voce del sud più profondo ed arretrato. Nell'Italia repubblicana non era mai successo che un'intera città si schierasse così apertamente contro lo Stato. Accadde a Reggio Calabria, con modi e tempi assolutamente imprevedibili.








BOIA CHI MOLLA - Il 13 luglio del 1970 viene proclamato un primo sciopero, che ha una scarsa adesione a seguito della improvvisa defezione della Cgil, sindacato che si dichiara indisponibile a ''battaglie di tipo campanilistico". Anche il Pci e il Psi si chiamano fuori e il giorno seguente è così organizzato un nuovo sciopero a cui partecipano circa un migliaio di persone fino a Piazza Italia, dove il sindaco Pietro Battaglia, affiancato dal consigliere provinciale del Msi, Fortunato Aloi, tiene un comizio appassionato, ma dai toni non violenti. E' nella serata, però, che gli eventi prendono una piega diversa. Occupata la stazione ferroviaria, i manifestanti vengono fatti oggetto di un durissimo intervento delle forze dell'ordine, che arrestarono numerosi cittadini. I feriti sono quaranta. Il 15 luglio vengono assaltate le sedi del Pci e del Psi. Gli scontri in strada sono violenti. Nel tentativo di reprimerli, la polizia carica. Muore il ferroviere Bruno Labate, 46 anni, iscritto alla Cgil, forse a causa di un candelotto sparato ad altezza d'uomo. In occasione dei sui funerali, le forze dell'ordine presidiano il corteo imbracciando addirittura i mitra. Mille giovani assaltano la questura e a stento il questore Santillo, uomo di grande prudenza e civiltà, impedisce agli agenti di aprire il fuoco.
La rivolta assume da subito un carattere feroce e non sfuggirà più tardi agli storici ed ai giornalisti un collegamento diretto con la strage di Gioia Tauro, accaduta il 22 luglio 1970, dove una bomba deraglia il "Treno del Sole" Palermo-Torino provocando sei morti e più di cinquanta feriti.
MISSINI ED EX PARTIGIANI, INSIEME- Il vero motore organizzativo e politico della rivolta è il ''Comitato d'azione per Reggio capoluogo'', i cui principali esponenti sono Ciccio Franco, l'ex comandante partigiano Alfredo Perna, Rocco Zoccali, Rosario Cassone, Franco Arillotta, Giuseppe Avarna duca di Gualtieri e Fortunato Aloi. Partigiani e uomini della destra assieme, quasi a circoscrivere un atteggiamento e un'idea che vuole andare al di là delle etichette che già appaiono sui giornali e che misurano la sconquasso di Reggio dentro ad un'identità ''neofascista''.
Il 17 settembre 1970 Ciccio Franco e Alfredo Perna vengono arrestati con l'accusa di istigazione a delinquere e apologia di reato. Condannati, vengono rimessi in libertà provvisoria il 23 dicembre 1970. Due armerie e la Questura intanto vengono prese d'assalto da almeno cinquecento persone. Un poliziotto, Curigliano Vincenzo, 47 anni, muore di infarto. Nuovamente ricercato dalla polizia, Franco, nel febbraio 1971, è per un breve periodo latitante. Viene raggiunto nel suo rifugio segreto dalla giornalista Oriana Fallaci, alla quale – per spiegare la nascita dei moti e la loro evoluzione politica - afferma:''Specie nei quartieri popolari v'erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centro-sinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti''. A pagare questo clima è ad esempio Pietro Ingrao (Pci), il cui un comizio viene contestato dalla folla. In Italia, nel frattempo nasce il governo guidato dal democristiano Emilio Colombo, all'interno del quale inizia una sorta di opera di ''demolizione mediatica'' della rivolta. Dopo l'iniziale interessamento alle cause che avevano spinto l'inizio della protesta, infatti, tutti i maggiori quotidiani si limitano a ridurre la cronaca riguardo Reggio Calabria sminuendone talvolta anche la portata.
LOTTA CONTINUA STA CON I RIVOLTOSI - Molti giovani neofascisti, in quelle giornate di lotta, accorrono a Reggio, soprattutto gli universitari missini, ma va detto anche che i moti trovano un sostegno ideale anche da parte della sinistra estrema, ove l'idea di una "rivolta proletaria" - applicata per le strade della città calabrese – stuzzica varie analisi e considerazioni positive, sopratutto da parte di Lotta Continua, del Movimento Studentesco milanese, di Servire il popolo ed anarchici.
Per mesi la città fu letteralmente barricata in più punti, persino isolata, paralizzata e infuocata dagli scontri ripetuti con la polizia, accentuati da una serie di attentati dinamitardi che interruppero le comunicazioni ferroviarie o distrussero le apparecchiature della stazione diReggio Calabria Lido. Il Ministro degli interni Franco Restivo, annunciò che solo dal 14 luglio al 23 settembre furono compiuti 13 attentati dinamitardi, 33 blocchi stradali, 14 blocchi ferroviari, 3 blocchi portuali e aeroportuali, sei assalti alla prefettura e quattro alla questura. Per questi motivi, l'esecutivo fu quindi costretto, dopo alcuni mesi in cui la situazione non accentuava a placarsi, di assumere provvedimenti di carattere eccezionale.
CARRI ARMATI E DELUSIONI - Larivolta si concluse a dieci mesi dal suo inizio con l'inquietante immagine dei carri cingolati che arrivano in una città ormai allo sbando e sfiancata da mesi di lotte. Oltre alla forza, per la soppressione delle mobilitazioni, si ricorse al cosiddetto "Pacchetto Colombo", che portò ad una insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria) e all'insediamento nel territorio di apparati produttivi che non furono mai realizzati o furono subito oggetto di speculazioni della criminalità organizzata. Il ''pacchetto Colombo'' passerà alla storia, per questi motivi, come un ulteriore umiliazione di un intero territorio.
A distanza di anni, va detto che quella diReggio Calabria fu la prima rivolta''identitaria'' d'Europa, l'ultima di natura popolare. Costò sei morti tra i civili, centinaia di feriti e migliaia di denunce. Dopo di quella tappa, il Mezzogiorno - anche se la ''questione meridionale'' non è mai stata risolta - non ha più prodotto una rivolta di massa di quelle dimensioni forse a causa di quell'occasione persa, di quella delusione, di quella sconfitta. Tuttavia larivolta del 1970-71 continua ad essere un precedente per quel meridione che continua a vivere una crisi industriale, occupazionale e di legalità che lo affama e lo uccide da decenni.

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