Donald Trump ha stupito tutti. E alla fine ha avuto ragione lui: i sondaggi erano farlocchi. L'America anche se non lo diceva era con lui. Grande vittoria del tycoon di New York che si afferma nonostante l'ostilità del suo stesso partito, che mai lo ha sopportato
L'America ha scelto. Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Scrivere una frase del genere un anno e mezzo fa, quando il tycoon iniziò la sua corsa verso la Casa Bianca, annunciando di voler correre per le primarie del Partito repubblicano, avrebbe fatto sorridere. Nessuno, infatti, lo prendeva sul serio. Ma lui è riuscito nell'impresa, prima conquistando la nomination di un partito che, fino alla fine, gli ha fatto la guerra, poi riuscendo a battere una candidata fortissima, Hillary Clinton, che poteva vantare il sostegno dei poteri forti, di Wall Street e della Silicon Valley, dei media, dello show business di una parte non indifferente dello stesso Grand Old Party. Partito che si è spaccato e non ha mai digerito i modi e le sparate di Donald. E che è arrivato persino a minacciare di far saltare la nomination, in extremis, trovando un candidato super partes (ipotesi poi accantonata per evitare una “guerra civile”).
Fin da subito Trump ha giocato tutto sulla provocazione. La prima miccia l'ha innescata contro i migranti, dicendo di voler costruire un muro con il Messico per impedire il loro ingresso illegale negli States. Intento condito da accuse pesanti (criminali, trafficanti di droga). Ed ha promesso, a più riprese, di deportare tutti i clandestini. Poi ha preso di mira i musulmani, dicendo di voler bloccare il loro ingresso per motivi di sicurezza. Ordine e sicurezza, il suo primo impegno. Tutto all'insegna di un obiettivo più grande: “Rifare grande l'America”. Come? Rilanciando l'economia, creando nuovi posti di lavoro, abbassando le tasse, rimettendo in discussione tutti i trattati commerciali che penalizzano gli Usa. E in politica estera? Accantonare i disastrosi combinati da Obama, risolvendo una volta per tutte la guerra contro l'Isis e mettendosi d'accordo con Putin su altre questioni ancora aperte. Senza fare più sconti ai membri della nato che non pagano le rispettive quote, gravando sulle spalle dell'America.
Una campagna mediatica studiata ad arte, in cui è sempre stato lui - e solo lui - a dettare i temi e i tempi dell'agenda politica.
Quando l'attenzione calava, subito Trump piazzava un colpo, con un semplice tweet o una frase a effetto pronunciata in qualche comizio e rilanciata, con meticolosa precisione, dai social network. Il “giochino” ha permesso al tycoon di conquistare la scena fin da subito durante le primarie, con gli altri candidati repubblicani che non sono mai riusciti a detronizzarlo. E anche quando hanno provato a ignorarlo (evitando di attaccarlo direttamente) non sono mai riusciti a imporre i propri temi. Trump si è preso la leadership e l'ha tenuta stretta senza mollarla mai un istante. Non era facile vincere le primarie con il partito contro, e persino con l'ostilità degli agguerriti Tea Party che avevano altri cavalli su cui puntare (Ted Cruz e Marco Rubio). Ma il tycoon è stato abilissimo, compiendo il suo primo miracolo.
Il secondo, invece, lo ha realizzato portando avanti una campagna elettorale quasi perfetta. Fin da subito molto agguerrita, che non ha mai mollato la presa dagli obiettivi da abbattere: Hillary Clinton e il presidente Obama. Contro di loro sono state scagliate accuse pesantissime. Ma è soprattutto contro Hillary che Trump se l'è presa, definendola una persona corrotta (scandalo delle email ma non solo) e che merita di finire in galera. Accusa ribadita più volte anche durante i confronti elettorali in diretta tv.
Se Trump ha vinto è perché ha avuto la meglio su una candidata che non è mai riuscita, nonostante i potenti mezzi, a sfondare nell'elettorato americano. Che nel 2008 fu battuta dall'outsider Obama, nelle primarie, e che stavolta, invece, ha rischiato di farsi soffiare la nomination un'altra volta, dal “socialista” Bernie Sanders, che a dispetto dell'età (75 anni) aveva infiammato i cuori dei giovani. Lei invece non ce l'ha fatta. I giovani non si sono fatti abbindolare da Beyoncé, Katy Perry, Madonna e Lebron James. O almeno non abbastanza. Trump ha vinto perché si è affermato come paladino del cambiamento, come antipolitico che si è battuto contro la Casta e i parrucconi dell'establishment, raccogliendo e dando ampio sfogo a un voto di protesta. Un voto che non è solo di destra.
Ora, archiviate le polemiche e fatte tutte le analisi del caso (voto delle minoranze, quello delle donne e della classe media, quanto hanno pesato l'economia, le armi, la violenza e quanto la protesta), l'America guarda avanti, ai prossimi quattro anni. Il dopo Obama è iniziato. Le sfide da affrontare sono moltissime. Per il bene degli Stati Uniti (e non solo).