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IL DOVERE E L’ONORE DI ESSERE IL NEMICO.

                                                   

Ci voleva un giovane intellettuale marxista eterodosso come Diego Fusaro, il migliore frutto del comunitarismo di Costanzo Preve, per dire senza paura parole di verità. Anche in Francia con Macron, come qualche mese fa in Austria, l’antifascismo in totale assenza di fascismo si è rivelato “il fondamento ideologico dell’ultracapitalismo”.  Torneremo tra un attimo su questa affermazione di capitale importanza di Fusaro.

Chi ha raggiunto i 60, come purtroppo chi scrive, ricorda assai bene la repentina svolta a sinistra della stampa e degli intellettuali italiani negli anni Settanta. Non riuscivamo a capire come fosse possibile che i giornali della borghesia industriale italiana, come La Stampa ed il Corriere, e quelli del ceto burocratico romano come il Messaggero, fossero diventati filocomunisti all’improvviso, e i loro editori, il gotha dell’industria e del denaro (la famiglia Agnelli innanzitutto, i milanesi Crespi, i romani Perrone e così via) lo permettessero. Poi, abbiamo capito: il capitalismo internazionale aveva cambiato casacca, si era fatto antiborghese ed antinazionale per preparare la grande svolta globalista che avrebbe travolto il mondo dagli anni 90. In quel senso, la sinistra politica ed intellettuale non era che una rete di impiegati di concetto da utilizzare come rompighiaccio e, successivamente, come mosca cocchiera.

Un recentissimo titolo della Stampa torinese, la “busiarda” dei piemontesi d’antan, apre squarci di luce: riferendosi a Corbyn, il capo dei laburisti inglesi, lo definisce con disprezzo uomo del passato per aver posto nel programma elettorale la nazionalizzazione delle poste, delle ferrovie ed il controllo pubblico dell’energia. Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi! Come si permette di avere un programma non (del tutto) liberale e liberista? E’ lo stesso giornale che non solo rifiutava gli annunci elettorali (a pagamento, s’intende) del vecchio MSI, ma addirittura non pubblicava le notizie riguardanti incontri o idee dell’odiata Fiamma.

Dall’altro lato del cerchio politico dominante, spicca un’articolessa di Fabio Rampelli sul Secolo d’Italia online. L’ex pupillo di Pino Rauti, storico militante romano di Colle Oppio, si smarca sdegnosamente – il morso dello sciacallo – da Marine Le Pen. Già mamma Giorgia aveva teorizzato che è il Front a dover imparare dalla destra italiana, ma la lucida testa di Fabio va oltre (d’altronde era quella la prescrizione della corrente cui apparteneva in gioventù!). Con impassibile faccia tosta si scaglia imparzialmente contro gli sciovinisti e chi “discute l’appartenenza atlantica”, rivendica l’inclusione di Israele nell’equivoco Occidente, però è per uno Stato di Palestina, che abbia imparato da Veltroni l’arte del “ma anche”? Accusa i francesi, ammirati sino alla divulgazione dei risultati elettorali, di antisemitismo e negazionismo dell’Olocausto (l’interdetto massimo, palesemente infondato ed assurdo!), nonché di teorizzare l’odio verso gli immigrati. ‘ An vedi, dicono a Roma!

Infine, candida i suoi come forza capace, in Europa, di “tenere al guinzaglio la globalizzazione “. Un perfetto cagnolino da guardia del sistema liberista globalitario, ma con un tocco di frondismo light. Insomma, il cerchio magico si allarga, ma espelle inesorabilmente ogni voce dissonante, non si dica dissenziente.

Torniamo a Fusaro, per citare parola per parola un brano apparso sul suo blog: “per lottare contro il manganello fascista ormai inesistente si è votato per mantenere il nuovo manganello- realmente esistente – del mercato assoluto, globalista e desovranizzato.”  Il Manifesto, che si fregia della qualifica di quotidiano comunista, titolò, a proposito delle elezioni francesi, Speriamo non sia femmina. Accettano di buon grado, ringhia Fusaro, tutto ciò contro cui “Marx e Gramsci lottarono per tutta la vita. “Il solo nazifascismo oggi esistente, continua il filosofo torinese, “è quello del fiscal compact, del ce lo chiede il mercato, parla inglese e condanna tutti i crimini che non siano quelli del mercato, difendendo l’apertura globalista dei confini e la libera circolazione delle merci e delle persone mercificate”.

Non crediamo che si sarebbe potuto sintetizzare meglio la realtà. In quel senso anche Rampelli, certo suo malgrado, è un fiancheggiatore dei nuovi fascisti in camicia bianca, quelli che, giudiziosamente, ripetono che i mercati votano tutti i giorni e che no, non c’è alternativa al modello vigente. Sta di fatto che il riflesso condizionato dell’antifascismo fantasmatico ha funzionato una volta di più, trascinando con sé anche la sabbia della destra di sistema, terrorizzata di perdere i favori dei padroni che si è scelta.
La scelta di campo non poteva essere più chiara, e le mine di cui è disseminato il terreno non sono più neppure nascoste: l’unico, vero nemico dei globalisti e dei loro ventriloqui di destra, centro e sinistra sono i populisti (identitari, sovranisti, fautori dello Stato sociale, nemici della privatizzazione del mondo), che possono essere derubricati a fascisti ad un fischio di lorsignori, non appena il pericolo sale. Milioni di pesci abboccano all’amo ed i “fascisti” veri, per usare quel lessico antiquato, se la ridono nei loro grattacieli di Manhattan o Francoforte, e ridono sotto i cappucci delle massonerie. Bingo, il banco vince sempre.

La conclusione da trarre è duplice. Da un lato, c’è l’onore, l’orgoglio e l’arduo, pericoloso dovere di essere ogni giorno di più “il nemico”. D’altronde, ci hanno designati come tali, prendiamo atto e comportiamoci di conseguenza. Dall’altra, e qui arriva il difficile, bisogna attrezzarsi per diventare un nemico pericoloso, potenzialmente vincente. Si rischia tutto, anche la pelle, nel dorato mondo della democrazia falsa come l’oro di Bologna, che divenne rosso per la vergogna.  Sarà anche una specie di “Mission Impossible”, o di scalata dell’Everest a mani nude, ma non sapremmo che cos’altro fare, scartata l’ipotesi di mollare la trincea.

Abbiamo una modesta proposta, per cominciare: costruire un programma politico incardinato sul rispetto della Costituzione italiana del 1948. Con tutti i suoi limiti, la carta è l’unico strumento giuridico vigente per tentare di rovesciare il tavolo e, intanto, per smascherare il nemico. Esiste da tempo un’ampia letteratura che rivela non solo la mancata applicazione di parti intere della legge fondamentale, ma l’assoluta incostituzionalità (quindi l’illegalità e nullità secondo i “loro” stessi canoni) di quasi tutte le scelte di molti decenni. In più, ci piaccia o meno il linguaggio in cui è formulata, è lì che si afferma che la sovranità appartiene al popolo, ed è all’articolo 11 che si circoscrivono le eventuali eccezioni, ovvero, in condizioni di parità con altri Stati (le banche non sono nominate...) la “pace e la giustizia fra le Nazioni”. Si parla di nazioni, non di mercati, e la parola è scritta in maiuscolo.

All’articolo 41, si riconosce e garantisce la proprietà privata, che deve avere funzione sociale ed essere accessibile a tutti. Se ne prevedono quindi anche i limiti, che sono l’arma da brandire contro l’economia dei monopoli privati e del mercato aperto solo in uscita, per espellere chi non fa parte del circolo esclusivo dei giganti multinazionali.
Forse, sarà un po’ più complesso cacciare nell’angolo come “fascisti”, stupida gente ferma al 1922 o al 1943, chi brandisce la Costituzione, forse nuove crepe si apriranno nel muro della menzogna. Forse, e non è affatto certo. E’ come puntare sulla Pro Vercelli per scudetto e Coppa dei Campioni.
Ma l’alternativa è accomodarsi al Rampelli-pensiero. Nati assaltatori, non possiamo morire commendatori!

                                                                             ROBERTO PECCHIOLI            
   
   

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